SOLUZIONI PER I TRAUMI DEL PIEDE
Fratture del calcagno

Cause e meccanismo di lesione:
Le fratture del calcagno si verificano principalmente a seguito di traumi ad alta energia, come cadute dall’alto o incidenti stradali. La forza compressiva esercitata durante l'impatto sul tallone causa una interruzione dell’architettura normale dell'osso, spesso con frammentazione ed interessamento articolare, con una conseguente alterazione talora molto importante delle dimensioni del segmento, che si presenta variamente accorciato e ridotto in altezza per la compenetrazione dei frammenti, nonché protruso in allargamento in seguito allo schiacciamento
Classificazione:
Le fratture di calcagno si distinguono in due categorie principali, sulla base del coinvolgimento delle porzioni anatomiche principali e della relativa conseguente possibilità di generare esiti più o meno invalidanti (Fig. 1):
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Extra-articolari: queste fratture NON interessano le superfici di intefaccia con le ossa adiacenti, ricoperte di cartilagine (tessuto con potenzialità riparative limitate rispetto all’osso) e pertanto risultano generalmente meno gravi e più facili da trattare.
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Intra-articolari: queste sono le lesioni sono più gravi, in quanto coinvolgono la superficie articolare del versante superiore per l’astragalo (articolazione sottoastragalica) o del versante anteriore, per il cuboide; si verificano purtroppo nella maggioranza dei casi, rappresentando circa il 75% delle fratture di calcagno.


Ulteriori sistemi classificativi più specifici, tra i quali quello di Sanders, basato sulle immagini TC, risulta il più conosciuto e condiviso, aiutano il chirurgo ortopedico specialista a definire con maggiore precisione il tipo e la gravità della frattura, per potere orientare il trattamento in maniera più efficace.
Diagnosi:
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Anamnesi ed esame clinico:
Il paziente affetto da una frattura di calcagno in seguito al trauma riferisce l’insorgenza di un dolore acuto, accompagnato da un gonfiore ingravescente alla parte posteriore del piede, con incapacità pressochè totale alla deambulazione. Nei giorni successivi può inoltre comparire una ecchimosi sottocutanea.
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Esami strumentali:
in Pronto soccorso vengono eseguite le radiografie in proiezioni standard (laterali, oblique ed assiali); per le fratture più gravi la TC è imprescindibile, in quanto permette di confermare l’interessamento articolare e valutare la tipologia e la distribuzione delle scomposizioni e della frammentazione.

TRATTAMENTO
Cosa va fatto subito?
Non appena confermata la diagnosi e terminata l’esecuzione dei primi accertamenti è fondamentale mettere in atto da subito tutte le azioni utili a minimizzare le complicanze ed a creare le condizioni ideali per il trattamento che verrà pianificato successivamente: tranne casi particolari il piede va stabilizzato in una valva gessata posteriore “a stivaletto”, così da limitare il sanguinamento osseo indotto dal movimento; contestualmente è fondamentale mantenere con continuità ed in maniera costante un corretto atteggiamento anti-declive dell’arto, per favorire il ritorno venoso e ridurre la tumefazione locale. Non potendo caricare sull’arto fratturato il paziente deve iniziare da subito la profilassi della trombosi venosa profonda (TVP) con eparina frazionata, che sarà da proseguirsi sotto il controllo del medico curante finchè non sarà possibile ritornare a caricare.


Come procedere nel periodo successivo:
Terminata l’esecuzione degli esami diagnostici, è opportuno far rivalutare il quadro clinico in ambito specialistico nei giorni successivi, per assicurarsi che i tessuti molli non siano sofferenti in seguito al trauma o, come a volte può capitare, per una insufficiente gestione della posizione di scarico.
In questa fase, sulla base delle caratteristiche della frattura e dell’evoluzione delle condizioni dei tessuti molli, viene presa la decisione sul tipo di trattamento più indicato da porre in atto, che può essere
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Conservativo: indicato nelle fratture poco o nulla scomposte o nei pazienti che presentino controindicazioni assolute alla chirurgia. Prevede l’immobilizzazione in un apparecchio gessato chiuso per alcune settimane e, anche dopo la rimozione dello stesso, l’astensione dal carico, che altrimenti potrebbe provocare il peggioramento o la creazione di scomposizioni dell’osso, fino alla documentata guarigione della lesione, che va controllata con l’esecuzione di radiografie successive. Al momento della ripresa del carico può risultare utile un programma di chinesiterapia, se possibile anche in acqua, per accelerare il recupero funzionale
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Chirurgico: consigliato in tutte le fratture dislocate per ridurre le probabilità di complicanze impattanti sulla qualità di vita. Esistono diverse tipologie di interventi che possono essere eseguiti: in alcuni casi sono possibili approcci più conservativi, con stabilizzazioni percutanee o con fissatori esterni dopo riduzioni ottenibili grazie a manovre esterne o attraverso mini-accessi, eventualmente con l’assistenza dell’artroscopia, attraverso i quali sono possibili anche osteosintesi a minima con mezzi di sintesi interni dedicati; più spesso, per un risultato ottimale, risultano però necessarie riduzioni attraverso accessi allargati ed osteosintesi con sistemi di placche e viti più complessi e estesi.
In generale è assodato che nessuno di questi approcci può essere impiegato per tutte le tipologie di fratture, che devono essere attentamente bilanciate sulla base delle variabili principali che orientano le scelte: oltre alle caratteristiche biologiche del soggetto, sono importanti le condizioni dei tegumenti, l’entità e la tipologia della frammentazione ossea ed, il tempo trascorso dal momento del trauma: tutto ciò va attentamente considerato per la pianificazione più efficace dell’intervento.
Di conseguenza, poiché il trattamento di queste lesioni si presenta sempre difficoltoso e a rischio di complicanze, è molto importante che il chirurgo che se ne fa carico sia in grado di padroneggiare e gestire con sicurezza tutte le tecniche chirurgiche applicabili, in modo da potere adattare le scelte alle caratteristiche del caso specifico, eseguendo la procedura più indicata a minimizzarne gli esiti. I principi su cui si basa il percorso di trattamento sono quelli di una ricostruzione il più accurata possibile dell’osso fratturato, ripristinando i volumi del segmento e l’anatomia delle articolazioni, mantenendo nel contempo come prioritaria la corretta gestione temporale e l’attenzione a non provocare o peggiorare sofferenze e lesioni dei tessuti molli locoregionali. Si tratta di una chirurgia universalmente riconosciuta come difficile e impegnativa, che richiede oltre che la disponibilità di tutti i dispositivi dedicati, una curva di apprendimento lunga e difficoltosa per il chirurgo, tanto che la letteratura scientifica più accreditata ha segnalato da tempo come il verificarsi di complicanze e problemi avvenga in queste lesioni con una percentuale inversamente proporzionale all’esperienza dell’équipe chirurgica che prende in cura il caso.
Cosa deve aspettarsi il paziente dopo l'intervento:
Nel primo periodo post-operatorio è prioritario, specie nei casi che hanno richiesto una via d’accesso allargata, una attenzione continua e costante a mantenere la posizione antideclive per prevenire situazioni di tensioni sulla sutura che possano esitare in deiescenze o sofferenze cutanee. Questo è fondamentale nelle prime settimane, fino alla rimozione dei punti di sutura, ma rimane importante fino al momento del recupero del carico completo, che se previsto dopo la guarigione completa dell’osso, per evitare le perdite di correzione, richiede che siano trascorsi tre mesi dall’intervento.
Il momento della ripresa del carico rappresenta in genere una fase delicata del percorso di recupero, in corrispondenza della quale sono possibili temporanei stati di alterazione locale del circolo, con insorgenza di tumefazioni ed arrossamenti, evidenti in particolare dopo le sollecitazioni funzionali; tali sintomi di solito regrediscono e poi scompaiono progressivamente col tempo, risolvendosi in maniera più rapida quando il paziente è correttamente assistito dal punto di vista riabilitativo ma soprattutto quando ha la possibilità di eseguire un periodo di rieducazione funzionale in acqua, che risulta la strategia vincente per ridurre l’impatto di queste alterazioni funzionali.

Quali sono le principali complicazioni e come si possono affrontare?
Anche quando trattate in maniera ottimale, le fratture di calcagno più gravi possono evolvere con complicanze fastidiose quali:
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Problemi di guarigione delle parti molli quali deiescenze della cute, relativamente frequenti e proporzionali alla collaborazione che il paziente offre nel post-operatorio a mantenere con costanza la posizione antideclive dell’arto; più raramente si possono verificare infezioni profonde, che richiedono tempi di gestione più prolungati rispetto alle semplici sofferenze cutanee superficiali
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Deformità dell’assetto del piede, come il piede piatto valgo, con allargamento in particolare della porzione centrale plantare per riduzione della curvatura della volta in seguito all’alterazione dell’anatomia eventualmente residuata dopo la ricostruzione.
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artrosi post-traumatica dell’articolazione sottoastragalica e/o calcaneo-cuboidea, che si manifesta con riduzione della motilità del retropiede, particolarmente evidente al paziente nel cammino su terreni sconnessi, talora coesistente a sensazione di fastidio o dolore, in particolare a inizio carico
Tutte queste evenienze sono teoricamente sempre possibili, anchorchè per fortuna non così probabili, in particolare quando la gestione diagnostica e chirurgica messa in atto risulta ottimale.
In ogni caso, nel momento in cui si verifichino una o più di queste situazioni esiste comunque sempre una relativa soluzione, che può andare dalla semplice esecuzione di medicazioni avanzate, eventualmente in associazione a terapie mediche e/o esecuzione di tempi accessori di rimozione dei mezzi di sintesi o di chirurgia plastica per la gestione delle probematiche ai tessuti molli, fino alla necessità di interventi successivi quali osteotomie modellanti o artrodesi nei casi che possano evolvere in deformità o artrosi gravemente sintomatiche


Evoluzione e prognosi
In generale, il piede che ha subito una lesione così importante e delicata come una frattura articolare scomposta del calcagno solitamente non può ritornare completamente alla funzionalità originaria, nonostante la maggior parte dei pazienti trattati correttamente possa oggi aspirare a riprendere una vita normale in riferimento alla possibilità di deambulare e di compiere azioni comuni quali fare le scale e guidare l’automobile; in particolare nei casi in cui la gestione sia affidata ad équipes specializzate ed a centri con la disponibilità di tutte le dotazioni in ambito di tecnologia e dispositivi dedicati, anche la ripresa della maggioranza delle attività lavorative e di alcune attività sportive risulta oggi quantomento ipotizzabile, grazie all’impiego delle moderne tecniche chirurgiche, che assicurano un esito funzionale di gran lunga superiore rispetto ai casi non operati o gestiti scorrettamente.
Soluzioni per altre patologie:

Gonartrosi o artrosi del ginocchio
